“Se dev’essere un atto di cosmesi non ha senso”, dice Lepore. Una nuova etichetta per il partito, così come il manifesto dei valori, avrebbe dovuto rilanciare una discussione identitaria mai avviata. E Schlein rinuncia: “Ora rinominare non è fondamentale, se non cambiano le facce”
Et Pd nudo tenemus, dunque. Perfino sul nome, nulla di fatto. E sì che quella – la questione di un eventuale nuovo corso del Pd, da ribattezzare “Partito del Lavoro” – sembrava davvero l’ultima, forse l’unica, questione che aveva acceso dibattiti e polemiche, un minimo di vitalità, negli ultimi giorno di questo stanco congresso democratico. E invece, nulla. Anzi. Per paradossale che paia, a liquidare la discussione è stata proprio colei che, secondo i suoi stessi suggeritori, da questa baruffa nominalistica avrebbe potuto trarre maggior vantaggio. “Non è fondamentale cambiare nome se non cambiano le facce, il metodo e una visione comprensibile“, ha detto Schlein ieri, durante il confronto tra i quattro candidati segretari. Contrordine, compagni. Con buona pace non solo del sindaco di Bologna, Matteo Lepore, che è stato il primo a proporre il nuovo nome; ma anche di chi, come Beppe Provenzano e Andrea Orlando, quell’idea l’aveva rilanciata nell’intento di…