Soltanto dieci anni fa, o poco più, la Grecia era la grande malata d’Europa. Così malata da rischiare di non essere più europea, cioè di dichiarare default e uscire dalla moneta unica. In questo lasso di tempo che pare infinito, tra la crisi dei debiti sovrani e quella innescata dalla pandemia, la letteratura sul caso Grecia è stata sterminata. Non c’è convergenza, tra studiosi e politici, sulla lezione da trarre dall’ultima tragedia ellenica, se cioè la rigidissima austerity impostale dalle istituzioni internazionali l’abbia salvata o abbia inflitto alla maggioranza della sua popolazione sofferenze evitabili. Fatto sta che, a pochi giorni dalle elezioni di domenica 21 maggio, tra luci evidenti e ombre non cancellabili, i numeri dell’economia sembrano finalmente positivi. Eppure, se il primo ministro Kyriakos Mitsotakis e il suo partito di centrodestra Nuova Democrazia non sono affatto certi di vincere — anzi —, vuol dire che le ombre ci sono. Proviamo a capire, punto per punto:
L’economia/1, cosa va bene: Verso il ritorno all’«investment grade»
È forse questo l’indicatore emblematico della svolta vissuta dalla Grecia: non a caso, il Financial Times lo chiama Greece’s greatest turnround, la giravolta più grande. La giravolta è…