Dal Rdc alla Mia: il punto debole della riforma è l’occupabilità

I criteri scelti dal governo per stabilire chi sia avviabile o meno al lavoro appaiono paradossali. E contrastano, oltre che col senso comune, anche con le politiche europee

Tra indiscrezioni di stampa e bozze ufficiose, i contorni del decreto che metterà fine al Reddito di cittadinanza per sostituirlo con la “Misura per l’inclusione attiva” (Mia) sembrano ormai definiti. Tra le principali novità del provvedimento che il governo si appresta a varare ce n’è una che riguarderà tutti i potenziali beneficiari, indipendentemente dal percorso (di inclusione sociale o di attivazione lavorativa) al quale verranno indirizzati. Si tratta della riduzione del valore dell’Isee, che verrà abbassato a 7.200 euro dai 9.360 euro previsti oggi per il Reddito di cittadinanza. Una modifica volta – evidentemente – a ridurre la platea complessiva degli aventi diritto e, quindi, ad alleggerire la spesa destinata al nuovo sussidio. Una volta soddisfatti i nuovi requisiti reddituali, ai beneficiari della Mia si prospetteranno due percorsi alternativi: l’avvio ai servizi sociali oppure l’indirizzamento ai centri per l’impiego, per la sottoscrizione del patto di servizio personalizzato finalizzato all’inserimento lavorativo.