«Non vi è nulla di più inedito di ciò che è già stato pubblicato». ChatGPT, sospettiamo, deve avere letto Il cimitero di Praga di Umberto Eco e il suo famoso provocatorio passaggio. Nel dubbio glielo abbiamo chiesto: rispetti sempre il copyright quando generi dei testi? Risposta della chat che permette di dialogare con una rete neurale che ha appena ricevuto da Microsoft 10 miliardi di dollari di investimenti: «Come modello di linguaggio addestrato da OpenAI, genero testi basati sull’elaborazione di grandi quantità di dati testuali presenti sul web». Chiamiamola sincerità. ChatGPT genera, inventa, copia e incolla. Ma non cita (peraltro il copyright lo abbiamo inventato noi italiani, nella Venezia del tardo Quattrocento, con il privilegio di stampa, dunque dovremmo difenderlo).
Il concorrente di ChatGPT, l’«obsoleto» ragno di Google, è di aiuto nello scoprirlo: basta mettere alla prova i testi «generati» (copiandoli su Google emergono spesso i documenti originali) per scoprire che non siamo di fronte al miracolo di «penso dunque sono». La questione è importante, non tanto, come abbiamo già avuto modo di scrivere, per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. La scoperta di tali infantili falle nulla toglie all’incredibile evoluzione di…